domenica 11 febbraio 2007

Diario Di Una Vita (No.2)

DIARIO DI UNA VITA


Mi trovo comodamente seduto in poltrona in una più che tiepida giornata di mezzo autunno col mal di schiena che da tempo mi affligge, mentre stormi di uccelli volano bassi in cerca di rifugio e di cibo oscurando al loro passaggio il cielo. Davanti ai miei occhi ho il mare blu della costa azzurra, bellissimo e mi viene da confrontarlo col paesaggio di montagna. Ho, infatti, vissuto per parecchi anni a Serina in Valle Brembana. Dal mio terrazzo si scorgeva il monte Alben e proprio in questo periodo il mio sguardo vagava sui mille colori magici dell’autunno che lentamente stava morendo. La montagna è bellissima ma immobile. Ti alzi al mattino e vedi che l’imponente criniera frastagliata del monte, specialmente quando innevata, è stupenda ma statica da millenni mentre il mare ogni giorno ti riserva una sorpresa. Un’ onda non è mai uguale a quella che segue, le increspature luccicano lontane e le barche a vela che lo solcano ti danno un senso di piacevole riposo agli occhi e di riflessione alla mente. Arrivato al traguardo della vita, qui davanti al magnifico azzurro nei suoi mille riflessi di colori penso intensamente al mio passato e quanto accadutomi spero possa essere di sprone a chi ha vissuto esperienze di vita particolari. È, quella che segue, la storia o meglio la cronistoria di un cittadino normale, forse un poco sfortunato in talune circostanze ma riconoscente a quanto la vita gli ha riservato visto che a settantasette anni si conserva discretamente come un fiore che lentamente appassisce.

Il primo di giugno del 2005 fui ricoverato d’urgenza agli Ospedali Riuniti di Bergamo in reparto di cardiochirurgia ed il primario, dopo qualche giorno diagnosticò un bronco-spasmo in soggetto con precedenti d’ infarto tanto da prospettare un trapianto impossibile a quella età. Così sentenziò: “Messo come sei, non hai futuro, tentiamo attraverso una coronografia di porvi rimedio con un angioplastica”, ma le coronarie erano le uniche che funzionavano per cui non era possibile fare riparazioni. Rimasi nel reparto cardio-vascolare per tutto il mese curato con decine di pastiglie giornaliere e con diuretici in vena per tutto il tempo della degenza. Alle dimissioni dall’ospedale mi sentii dire di continuare con la terapia assegnatami e…… fin che la va la va.
Ho pensato che se non vi fosse stato un futuro, come del resto la mia situazione e l’età imponevano, c’è stato però un passato da ricordare che con questo scritto cerco di raccontare.

Dividerò questa piccola storia in tanti episodi, che chiamerò tessere affinché i fatti accadutimi siano ben distinguibili fra loro e di più facile comprensione.

PRIMA TESSERA. Sono nato a Milano il 24-08-1929. Abitavo a Milano vicino alla stazione Centrale, in Via Ponte Severo17 al quarto piano di una casa d’epoca tuttora esistente con ampio balcone che guardava sulla via e che mio padre abbelliva con piante di oleandri, nicchie di rose,e altri fiori in genere. Ci si scaldava con una grossa stufa a carbone (si fa per dire) perché il costo di quel materiale c’ imponeva risparmi sulla qualità. I più abbienti usavano l’antracite oppure il cok sotto forma di ovuli. Noi usavamo le mattonelle (polvere di carbone pressata) che costavano di meno ma in compenso scaldavano poco.
In quel periodo ci fu molto d’aiuto una mia zia, la zia Marta (sorella di mio padre) che abitava a Milano in Via Solari 10 il cui marito era capo officina della ditta Goglio, fabbricante sacchetti carta, ditta che risiedeva proprio all’indirizzo già citato sopra. Ebbene, questa zia, con frequenza pressoché settimanale, alla domenica arrivava da noi con una valigia di fibra piena di carbone antracite che ella,profittando della pausa di lavoro di fine settimana, sottraeva dalla cantina dell’azienda dove quel bene era custodito per portarlo a noi e queste visite sono rimaste incancellabili nella mia memoria.
L’infanzia e l’adolescenza sono state comuni a tanti che hanno vissuto il periodo della guerra. Vi era la famosa tessera annonaria per gli acquisti alimentari, la carne solo per i diabetici e la borsa nera. Noi ragazzi eravamo contenti quando, al suono della sirena d’allarme, tutti quanti ci si trovava in cantina. Il capo casa, esisteva questa figura emblematica che incuteva rispetto e disciplina, controllava con intransigenza il comportamento degli inquilini. Noi giocavamo a nascondino, a biglie, a figurine e ci si divertiva in quel piccolo vano senza pensare che se una bomba fosse caduta sopra il nostro stabile già fatiscente avremmo fatto la fine dei topi e per fortuna mia e di tutti i casigliani non andò così.

SECONDA TESSERA. I bombardamenti su Milano diventavano sempre più cruenti e la nostra cantina era diventata un inutile palliativo e così, al lugubre suono dell’ avviso di pericolo, si correva per la strada e col cielo illuminato da razzi si raggiungevano i sotterranei della Stazione Centrale a noi vicina e ci si rifugiava colà. Mio padre, già sofferente di cuore prese la stoica decisione di sfollare, come pendolare, a Rho assieme a me che ero il più piccolo dei tre figli.
Verso l’imbrunire da Corso Sempione prendevamo il tram che ci portava, ospite di un suo amico, in quel piccolo paese che lui riteneva una fortezza inespugnabile. Lì trascorrevamo la notte sdraiati vestiti, in un letto di fortuna e il mattino ritornavamo con lo stesso mezzo in città.
Mia madre, dal canto suo lasciava fare e non condivideva quel modo di comportarsi, ma lei non aveva paura né dei bombardamenti né degli allarmi diurni o notturni e non andava neppure a rifugiarsi in cantina, lasciando che il destino decidesse per lei se vivere o morire. Mio padre continuò a fare il pendolare assieme a me per diverso tempo finché un giorno, appena tornato dal Bunker di Rho……, forse per lo stress di tutto quel andare avanti e indietro si sentì male e morì d’infarto alla finestra, accusando mia madre di non averlo avvisato che era suonata la sirena.
I bomardamenti sulla mia città diventavano sempre più frequenti e cruenti e mia madre temeva per la mia vita. Sapeva che un’altra mia zia viveva da sfollata a Saltrio (località di villeggiatura a due passi dal confine Svizzero) in una villa di sua proprietà lasciatole dal marito da tempo deceduto e che fu nel lavoro un personaggio importante alla Prefettura di Milano.
Mia madre senza alcun indugio mi portò in quella località e ricordo che fummo ricevuti con una certa freddezza in quanto i legami di parentela non erano così stretti, m fui accettato. Questa zia aveva due figli. Il maschio era comandante dei Vigili del Fuoco di Milano con sede in Via Asperto mentre la figlia, professoressa di pianoforte dava lezioni ai ragazzi bene del vicinato.
Io rimasi a Saltrio 3 anni durante i quali il mattino frequentavo le tre classi medie mentre il pomeriggio aiutavo chi mi ospitava. Costruimmo, con l’aiuto di gente del luogo un magnifico pollaio nel parco della villa che ospitava ogni genere di animali. Conigli d’angora che erano regolarmente pettinati e spazzolati con cura ricavandone la preziosa lana, e poi oche, tacchini, galline e altro senza che nessuno del vicinato si lamentasse per il berciare dei volatili perché dava loro la possibilità di usufruire di quel bene magari acquistando a prezzo ridotto uova fresche di giornata.
Mia madre,poverina veniva a trovarmi ogni tanto,pagava la retta giornaliera che mi spettava e tornava a Milano,contenta di aver visto il figlio più piccolo al sicuro e perché nel frattempo io mi ero ben inserito e perché questi parenti cominciavano a volermi bene. A Saltrio non ci mancava niente. Dietro al pianoforte erano stivati i viveri che mio cugino ogni tanto portava durante le sue visite da Milano e che erano il frutto di ricupero da devastanti incendi di fabbriche alimentari come biscotti Mellin, gallette, pasta,riso,olio. Questo ultimo, per ragioni prudenziali, era messo in bottiglie e di notte,al chiaror della luna, di nascosto,sotterrato in giardino lasciando un segnacolo per il suo ricupero al bisogno.
Intanto i bombardamenti non finivano mai. Di notte ci si alzava all’eco angosciante
delle bombe che cadevano su Milano e i n lontananza scorgevamo il cielo arrossato dovuto agli incendi provocati dalle bombe.
Anche Genova subì questo martirio e mia zia,generosamente questa volta offrì ospitalità a certi suoi conoscenti che in quella città ebbero la casa disastrata.Arrivarono in tre i signori Mottura, marito, moglie e figlia dando anch’essi il loro contributo alla comunità.
Questa ospitalità durò qualche mese finché mia zia nottetempo scoprì la signora Mottura che,nascosta in un angolo, trangugiava a canna con ingordigia,direttamente dalla bottiglia così preziosa quel olio così sapientemente nascosto in giardino. Non ci fu scampo; a seguito di quest’ ingeneroso comportamento la famiglia tutta fu messa alla porta e dovettero andarsene.
Mia cugina pianista dal canto suo faceva la spola fra Saltrio e Milano per andare ad accudire il fratello e durante un ritorno in treno fu arrestata a seguito di una perquisizione dell’annonaria durante la quale le scoprirono nella valigia una grossa scheggia di formaggio grana e messa agli arresti al comando di Viggiù. Il fatto si risolse con mia zia che, recatasi al comando, tanto fece e disse fino a riuscire a portarsi a casa formaggio e figlia.


Nel frattempo i miei due fratelli furono chiamati sotto le armi. Uno dal 1944 dorme in un cimitero di guerra a Mezzano di Ravenna ucciso ad Alfonsine da una scheggia di granata tedesca, l’altro si salvò, perchè scelse di fare il vigile del fuoco. Assegnato a Roma, dopo l’armistizio ritornò a casa vestito da cameriere.

TERZA TESSERA. Arrivato a 17 anni e sopravissuto agli orrori della guerra, mia madre, vedova e con un figlio caduto in quel maledetto conflitto si trovò in condizioni economiche impossibili e mi disse che dovevo trovarmi un lavoro.
Ma, nel frattempo, sorsero i primi problemi di salute per me. Mi diagnosticarono il “morbo di Basedow” ossia, ipertiroidismo. Dietro consiglio di un medico andai all’ospedale di Circolo di Busto Arsizio dove fui il primo, o fra i primissimi, ad essere curato con gli isotopi radioattivi.
È ancora viva in me l’impressione che mi fece quello specialista il quale, attraverso un finestrino, lui con lo scafandro tutto in bianco e io dall’altra parte da dove gli potevo vedere solo gli occhi, mi allungava una pinza alla cui estremità vi era un bicchierino con del liquido che il dottore mi sollecitava a trangugiare. Dopo aver bevuto con molta perplessità questo nettare, mi depose su un lettino e con un lettore speciale vedeva quanto iodio aveva assorbito la mia tiroide. La cura andò avanti così per una settimana e alla fine fui dimesso….guarito, e potevo, anzi dovevo stante la necessità, trovarmi un lavoro.

QUARTA TESSERA. A quel tempo non esistevano i Master, gli stage e i colloqui, ma dovevi scrivere a mille nominativi che, pensavi potessero essere interessati a una tua possibile assunzione, ma la cosa veniva ignorata e soltanto dopo infinite domande, quando ormai avevo perso ogni speranza, mi rispose una azienda. Era una fonderia di metalli non ferrosi. Si chiamava Metallindustria con sede in Via Lario n. 13. Essa produceva, fondendo residuati o rottami metallici, lingotti per le industrie varie avvalendosi di forni rotativi e a crogiuolo. Durante la fusione dei rottami di alluminio si doveva immettere nel forno rotativo del sale ad evitare che i rottami bruciassero invece che fondere. Compito di avvelenare il sale era della Finanza per evitare che se ne facesse uso domestico. Il sale, a quel tempo, era un ingrediente intrvabile e io cercavo nel cumulo delle zone non inquinate dai veleni dei mucchietti intonsi da portare a casa per cucinare.
Fui assunto in prova per tre mesi come impiegato-operaio e sopra dei nastri trasportatori erano caricati e mischiati ogni genere di rottami. Il mio compito era di scegliere e dividere dai residuati di guerra, l’ottone, il rame, l’alluminio, il ferro, il bronzo e altro. Ogni pezzo era ghiacciato e soffrii molto a fare questo lavoro perché il 1947 fu un anno fra i più freddi che si ricordino.

QUINTA TASSERA. Dopo tre mesi di prova fui chiamato in Direzione e assunto definitivamente a lire 5000, mensili cifra inusitata a quel tempo e che mi avrebbe invogliato a dare il meglio di me stesso a sprone di un futuro brillante. Per questo dovevo ottenere un diploma di steno-dattilografo, così frequentai la scuola e ne uscii promosso. Fui chiamato dopo qualche giorno nello studio del mio titolare il quale mi dettò una lettera tanto lunga da riempire due quaderni da steno-dattilografia Uscii frastornato dopo questa dettatura e pronto per scriverla a macchina, ma non fui capace di tradurre una sola parola di quanto avevo preso nota, era evidente che l’emozione mi aveva tradito e feci una figuraccia da impiegato fantozziano.
Migliorai con l’andar del tempo l’incarico di scrivere a macchina sotto dettatura finché qualche anima pia inventò il dictaphone Era questo uno strumento che registrava su nastro quando il capo ufficio dettava e poi, quello che doveva battere a macchina ritirava il rullino, lo inseriva nel suo strumento ricevente e, cuffia nelle orecchie, trascriveva quanto quel altro aveva dettato, così diventai rapidissimo a battere a macchina.

SESTA TESSERA. Con meno stress e più rilassato scoprii,come tutti i ragazzi e con gli amici di quel tempo, le soddisfazioni dei primi amplessi sessuali. Oggi il sesso è diventato un argomento di cui se ne parla troppo e anche a sproposito. Non c’è più ritegno, cerchi e trovi qualsiasi cosa per soddisfare i tuoi istinti normali o perversi e questo lo dobbiamo alle tecnologie più avanzate.
Ai miei tempi era impossibile parlarne in casa ed era sicuramente sbagliato al punto, che io, dovendo sottopormi ad un intervento di circoncisione dovetti cercarmi un medico specialista e farmi accompagnare da un mio amico nel suo studio per la bisogna senza sfiorare il discorso in casa come se fossi stato colpevole di chissà cosa. Oggi la prostituzione impera senza limiti in ogni strada di qualsiasi città o paese e, se pure troverò la maggior parte di chi eventualmente mi legge, dissenziente, è mio convincimento che la chiusura delle case di tolleranza in virtù della famosa legge della Senatrice Merlin fu una decisione che a lungo termine ha sicuramente favorito il degrado che verifichiamo oggi.
Queste case che si dividevano in classe ad alto livello, medie e normali erano un ritrovo per noi giovani alle prime esperienze sessuali e dove trovavi anche una disponibilità della partner per vincere le tue timidezze. Certo ti poteva anche succedere che se la tua permanenza si prolungava più del lecito senza nulla combinare (si diceva noi ragazzi in gergo….andiamo a far flanella) passava la maitresse che con l’aggeggio adatto all’uso spruzzava il flit e allora era segno che dovevi andartene.

SETTIMA TESSERA Nel 1954 mi sposai con una bella ragazza conosciuta pochi anni prima in montagna, esattamente in Trentino, a Bezzecca, storica località nota per l’OBBEDISCO di Garibaldi al Generale Lamarmora. Io mi trovavo in quel luogo con un amico per trascorrere le ferie d’Agosto e lei, reduce da un incidente automobilistico avvenuto mentre con suo padre stava recandosi ad Amalfi arrivò con un’ amica per trascorrere colà qualche giorno di convalescenza.
L’incontro fu galeotto tanto che, dopo un breve periodo di fidanzamento, ci sposammo. Il padre era un imprenditore agrario che molti anni prima aveva vinto una gara d’appalto del demanio forestale di una zona paludosa tra il mare di Pila e la foce del Po, l’aveva bonificata trasformandola in un immenso giardino di riso. Per le sue capacità, la sua abnegazione nel lavoro e la sua generosità verso gli altri fu insignito dell’onorificenza di CAVALIERE DELLA REPUBBLICA. Oltre alla produzione di riso Egli esportava in Ungheria le canne palustri per fare scope e nei canali dei campi di riso allevava pesci. Aveva circa 50 famiglie alle sue dipendenze e tutto andò bene fino al novembre del 1951 quando, le acque del Po prima, e quelle del mare poi, nel 1956, sommersero ogni cosa.
Subì tanti e tali disastri che piangeva il cuore vedere le capanne dei coloni, gli impianti di essiccazione del riso, le barche, la casa colonica e quanto altro c’era di bello e di utile andare inesorabilmente sommerso dal mare.

OTTAVA TESSERA La mia carriera, se pur lentamente, proseguiva. Fui destinato a farmi una clientela esterna alla quale vendere i nostri prodotti ed ero molto capace a combattere la concorrenza e piazzare la nostra merce ovunque, così viaggiai molto anche per risolvere problemi tecnici.
Lo stipendio aumentava e così anche il premio di produzione. Avevo acquisito le mie ferie annuali, erano nate dal matrimonio due bambine e con tutta la famiglia in estate, confortato dalle mie esperienze di viaggi per lavoro andavo a visitare le città che più avevano suscitato in me un certo interesse artistico.
Durante uno di questi viaggi si visitò la splendida Viterbo ove sostammo per la notte in un tetro Hotel saturo di pareti rivestite di stoffa rossa, corrimani di funi a balze con fiocchi dorati. Nel cuore della notte fui svegliato dalla Direzione dell’albergo e fui invitato a scendere nella reception dove trovai i carabinieri che erano venuti a cercarmi.
Scesi con terrore le tetre scale e scorsi una pattuglia dell’arma il cui Maresciallo dichiarò che ero ricercato per detenzione di droga e quindi mi trascinarono in caserma. Alle mie dichiarazioni di innocenza si fecero approfondite indagini e si chiari che il ricercato era un certo Rossi che abitava nella mia stessa città e pure nella mia via e con la mia stessa data di nascita.
Il giorno dopo ricuperai la mia famiglia e da quel momento decidemmo che le ferie le avremmo trascorse sempre all’estero come poi avvenne.

NONA TESSERA. Ormai la mia carriera proseguiva brillantemente. Lasciai ad altri il compito di seguire la clientela esterna che già si era acquisito e mi si affidarono le relazioni con la clientela ma all’interno dell’azienda.
Ora avevo un ufficio tutto per me, con segretaria personale alla quale dettavo le lettere di corrispondenza che firmavo. Così andò avanti per tanti anni.

DECIMA TESSERA. Nel 1973 fui, per un malore improvviso, ricoverato all’ospedale di Rho. Mi fu diagnosticato un edema polmonare in stato di riposo, dovuto ad insufficienza cardiaca e dopo un mese di degenza mi dissero che dovevo essere operato a cuore aperto per sostituire la valvola aorta L’attesa, allora, all’ospedale maggiore di Milano, dove ero stato indirizzato, era di un anno mentre io avevo un mese di vita.
Dovetti quindi operarmi privatamente e mi rivolsi alla mia ditta chiedendo un prestito che ottenni, facendomelo pesare non poco, con l’accordo che lo avrei restituito a fine rapporto lavoro. Oggi è un diritto acquisito dai lavoratori farsi dare, in caso di necessità, un prestito in conto liquidazione.
Nel febbraio del 1974 mi recai presso la clinica di Genolier in Svizzera e mi affidai all’equipe del Prof. Hann. Dopo 15 giorni mi mandarono a casa raccomandandomi di fare un mese di convalescenza possibilmente in Liguria per poi riprendere il lavoro senza alcun indugio non senza ricordarmi di assumere giornalmente il Sintrom, un anticoagulante che permette alla valvola meccanica STAR che avevo nel cuore a pompare regolarmente.
Pericolosi però questi anti-coagulanti, si è considerati malati ad alto rischio perchè è possibile incorrere in emorragie, trombi o ictus se il dosaggio non è controllato da un centro di ematologia per il controllo degli INR.
Allora questi centri specializzati non esistevano e si andava in un laboratorio di analisi che faceva il prelievo, dava l’esito in giornata e mia moglie provvedeva, con molti problemi, a farmi la terapia.

UNDICESIMA TESSERA. Mia moglie, che amorevolmente mi seguiva nel mio percorso post-operatorio, si accorse di ingrassare. Le proposi di fare un test di gravidanza. Aveva ormai due figlie di 19 e 17 anni e lei 46. Fu un dramma quando il test risultò positivo. Lei era incinta di 3 mesi e pianse per tutto il tempo della gravidanza mentre le figlie erano contente anzi, entusiaste, ma esigevano un maschio e maschio nacque per la gioia di tutta la famiglia il cui padre si chiedeva fin quando avrebbe potuto partecipare alla sua crescita.

DODICESIMA TESSERA. Nel 1975 fui ricoverato in fin di vita per un’emorragia perivescicale dovuta all’uso degli anticoagulanti, pur se i valori di protrombina erano controllati da laboratori qualificati. Ci rimasi un mese durante il quale fui politrasfuso per ben 3 volte e a seguito di queste trasfusioni fui contagiato dall’HCV
perché, a quel tempo il sangue del donatore non veniva controllato.
Ripresi il lavoro anche se avevo ormai soventi piccole o vistose emorragie quali ematuria, epistassi e sanguinamento gengivale.

TREDICESIMA TESSERA. In un periodo di convalescenza, dopo gli episodi ospedalieri ,ero a Bonassola e un cardiologo di La Spezia che mi visitò mi disse che ormai la valvola che avevo da anni nel cuore era ormai parte integrante del mio corpo e potevo sostituire l’anticoagulante che mi procurava tanti disturbi con gli antiagreganti come il Persantin e il Cemerit. Prima, però, era doveroso sentire il parere di chi mi aveva operato e scrissi, sia alla clinica Svizzera che al dottore che mi aveva seguito in modo assiduo durante la mia degenza e che ora è primario cardiochirurgo a Catania. Entrambi gli interpellati diedero parere favorevole. Possiedo tuttora le lettere originali di assenso.
Fu un grande FLOP: anche i luminari sbagliano e me ne resi conto quando nel 1987 fui colpito da un grosso infarto. All’ospedale Gavazzeni di Bergamo dove fui ricoverato il primario Prof. Baldrighi mi diede anche del fesso perchè l’infarto me lo ero andato a cercare con la sospensione dell’anticoagulante. Una valvola meccanica funzione esclusivamente con questa terapia e nessuna altra può sostituirla.
Oltre a non sospendere mai l’anticoagulante dopo anni sono seppi che i pazienti ad alto rischio quali portatori di valvole meccaniche e biologiche qualora dovessero sottoporsi a cure dentistiche (fosse solo l’ablazione tartaro) dovranno sottoporsi alla profilassi per l’endocardite che consiste nell’assumere antibiotico prima di sottoporsi a queste cure. L’Associazione Nazionale per le malattie cardiovascolari rilascia a tale proposito un tesserino di norme cautelari.




QUATTORDICESIMA TESSERA.
Il lavoro, nonostante le difficoltà della salute mi dava ampie soddisfazioni professionali ed economiche. Ero dirigente nel settore delle vendite, dettavo e firmavo la corrispondenza ma un brutto giorno, un venerdì quando nella cassaforte erano custodite le paghe degli operai la ditta fu assalita da un gruppo di rapinatori che prima insultarono e picchiarono quelli che capitavano a tiro e poi spararono all’impazzata per aprirsi un varco e fuggire pur senza malloppo.
Io mi salvai gettandomi a terra mentre le pallottole fischiavano sopra la mia testa.
A questo punto essendomi salvato più volte per il rotto della cuffia, a salvaguardia della salute, avendo ancora una famiglia da cautelare decisi di presentare le mie dimissioni dopo 29 anni di onesto lavoro.

Mi presentai così al mio datore di lavoro affermando che le vicissitudini della vita mi avevano convinto a dare le dimissioni non essendo più in grado di produrre al meglio come quando stavo bene e gli ultimi episodi verificatisi avvalorarono la mia decisione. Così nel 1976, a 47 anni mi trovai a casa con una pensione di invalidità in base al numero degli anni che avevo lavorato, con due ragazze che ancora studiavano e un piccolo da crescere che allora aveva 6 mesi.

QUINDICESIMA TESSERA. Decisi, assieme a mia moglie che mi ha sempre esaudito nei miei desideri, di trasferirmi col bimbo in arie più pulite e confacenti al mio stato di salute. Del resto ormai le ragazze erano autonome e potevano gestire la loro vita senza problemi anzi erano contente di questa nostra scelta.
Acquistammo una porzione di villetta quadri-familiare con 300 metri di giardino ai Lidi Comacchiesi. La nostra scelta di una casa in questa località fu determinata anche e soprattutto dal fatto che a 40 chilometri di distanza abitavano i parenti di mia moglie e questo dava a lei una certa affidabilità e sicurezza perché sapevamo che dati i rapporti di simpatia, specialmente con sua sorella Virginia, non saremmo mai stati soli. Infatti con frequenza quasi settimanale ed in occasione di compleanni delle nipoti ci fu sempre un turnover di visite da ambo le parti. In occasione delle nostre presenze, mentre le sorelle si fermavano in casa a ciacolare o andar per parenti, io, grazie alla conoscenza del Delta del Po da parte di Enzo (genero di mia cognata ed un esperto della navigazione fluviale) mi era consentito, mediante barche a chiglia piatta, navigare fra le insenature del delta e, frangendo con l’avanzare della barca le canne palustri ci si apriva un varco fra questi piccoli canali facendo ,col nostro passaggio alzare in volo la fauna di quei luoghi incantati (cavalieri d’Italia, aironi, folaghe, germani….) che mi hanno incantato ricordandomi un poco la Camargue francese che, a parer mio, era meno affascinante.
Le visite della sorella da noi, specialmente a fine raccolto, mi davano la possibilità di frequentare gli immensi campi agricoli di proprietà degli assegnatari di terre da parte del Governo di un tempo. Col permesso dei proprietari terrieri entravamo nei campi abbandonati e spigolavamo di tutto ( spinaci, pomodori, cipolle, pannocchie di granoturco, bietole, mele, pere, meloni ed altro ancora.
Quel vivere ecologicamente mi dava un senso di benessere in quel tempo autunnale velato dalle prime brume di nebbia.
Come non ricordare le passeggiate fatte con Albano (l’altro genero di mia cognata) all’interno del Boscone della Mesola raccogliendo asparagi selvatici e funghi dei pioppi!
Come non ricordare le passeggiate fatte all’interno della Foresta demaniale nel parco di Volano alla raccolta di pigne cadute dagli alberi e delle talpe dei pioppi lasciate sul terreno dai contadini dopo il taglio degli alberi e bruciate nella stufa Warmorningh che avevamo in casa e che ci dava un senso di antiche usanze col crepitio del suo contenuto.!
E’ stata la mia una vita anche intensa di emozioni e mi fa piacere lasciare queste memorie a chi non può ricordare il mio vissuto.
Altro tempo lo dedicavo al giardinaggio facendo lunghe passeggiate sulla spiaggia col bambino e m’ interessavo d’ etruscologia leggendo molti libri sulla storia locale. Frequentavo chi era addetto alla campagna scavi della Necropoli Etrusca di SPINA in Valle Trebba ed un giorno, recandomi per controlli medici all’ospedale S.Anna di Ferrara ebbi occasione di visitare una mostra al Palazzo dei Diamanti dove esponeva le sue opere originalissime il pittore BAJ e la visione dei suoi quadri mi colpì molto.

SEDICESIMA TESSERA. Con Manuel che cresceva, paffutello e sano, come già detto, mi recavo sulla spiaggia tutti i giorni e per interessarlo a camminare, come dovevo fare io, raccoglievamo, specialmente dopo le mareggiate invernali ogni sorta di conchiglie assieme ai più svariati oggetti che il mare depositava e che suscitavano in noi qualche interesse, poi, a casa le conchiglie venivano lavate, divise, i legni e gli oggetti che davano un senso di forma messi da parte e catalogati. Il tempo passava e Manuel cresceva. Io di nascosto, ogni tanto ero colto da grandi malinconie con frequenti crisi di pianto perchè ero un ammalato che si domandava sino a quando avrebbe vissuto questa vita anomala dopo aver tanto lavorato.

DICIASETTESIMA TESSERA. L’incontro con Baj m’ ispirò e pensai che, con tutte le conchiglie che con Manuel avevo raccolto sulla spiaggia, un quadro come i suoi ero capace di farlo anch’io e mi attivai i questa iniziativa.
Adoperavo passamanerie, conchiglie, pigne cadute dai pini, plastiche, e ogni sorta di oggettistica naturale compresi copri-water-closet vetri rotti, stracci, corde e il mio lavoro hobbistico trovò interesse anche presso conoscitori di questa forma d’arte chiamata collage. Ebbi critiche favorevoli dai giornali locali e dal Resto del Carlino:

VEDI COME IL MARE CI AIUTA A CREARE
Al Lido degli Scacchi, esattamente nei pressi della Fattoria, vive in assoluta pace e tranquillità un personaggio insolito, fantasioso ed al tempo stesso geniale. Si chiama ENRICO BOSSI, milanese, uomo di mezza età, ospite dei nostri Lidi di Comacchio da circa un anno, ora pensionato.
BOSSI ha trovato nell’habitat e nel clima dei nostri Lidi la serenità e la salute, improvvisandosi subito indefesso podista e marciatore. Ed è appunto attraverso le sue molteplici camminate e marcialonghe solitarie in riva al mare, soprattutto durante la stagione invernale, che l’amico meneghino è riuscito a creare dal nulla, singolari ed espressivi esemplari, modellati dallo stesso mare e creati dalla fantasia dell’artista.
BOSSI cerca , modifica e scolpisce forme davvero interessanti ricavate dal legno che durante le mareggiate il mare riversa sulla spiaggia. Recentemente il nostro amico che ama intensamente Comacchio ed i suoi Lidi e che si interessa fra l’altro di storia locale, ha proiettato i suoi interessi verso un’altra forma originale di arte:
- IL COLLAGE - Egli, raccogliendo pazientemente innumerevoli specie di relitti marini, è riuscito in modo encomiabile a creare tanti collages dalle forme e dai significati più vari con materiale veramente strano. Ecco, forse nessuno immaginerà quale forza creativa possa avere il mare, eppure il nostro buon amico è riuscito a sfruttare questa forza, a riconoscerla, addirittura ad immedesimarsi dando un volto ed una identità a ciascuno di quei relitti.
Le creature geniali di ENRICO BOSSI saranno esposte nei prossimi giorni presso il Palazzo Bellini della città di Comacchio. FIRMATO –CRITICO BOCCACCINI

Feci varie mostre come quella alla Galleria Alba di Ferrara e durante una di queste venne a complimentarsi il Maestro Remo Brindisi. Vinsi premi a Milano, a Varese, a Crescentino. Vendei e permutai opere e vissi quel lungo periodo con ritrovata serenità.

DICIOTTESIMA TESSERA. I mesi invernali erano però i più duri da trascorrere in loco per la costante presenza di nebbie fitte e di forte umidità. Giunse il momento di iscrivere Manuel alla scuola elementare e si scelse quella di S.Giuseppe di Comacchio, mentre da parte mia ero occupato ormai in pianta stabile con il collage e col gruppo archeologico di Spina. A scuola arrivò il momento delle vacanze invernali e la settimana bianca. Avevamo acquistato a suo tempo, poco prima che mi ammalassi, una piccola mansarda in montagna, in Valle Brembana, precisamente a Serina, alloggio che non era mai stato abitato se non per brevi periodi dalle figlie. Qui decidemmo di trascorrere la settimana bianca e l’impatto con l’aria fredda ma secca, il candore delle montagne fra cui svettava di fronte a noi l’imponente massiccio dell’Alben innevato ci convinsero di far terminare la prima elementare ai Lidi per poi trasferirci nella nuova località di montagna.

DICIANNOVESIMA TESSERA. La decisione del trasferimento fu cosa buona, Manuel frequentò tutte le elementari e le medie inserendosi col suo gruppo scolastico ottimamente, imparò a sciare, le nostre figlie venivano più volentieri a trovarci perchè più vicine alla città di residenza e la vita continuò così per anni.
Al momento di iscriverlo alla suola superiore fummo consigliati dai suoi professori di andare a Bergamo perchè il ragazzo rendeva molto bene ed era un peccato non scegliere una scuola più consona alle sue capacità.
Lo iscrivemmo all’Istituto Lussana di Bergamo e per un anno fece il pendolare con disagi per lui e per noi finché decidemmo di acquistare la casa vicino alla scuola e all’Ospedale così entrambi avevamo risolto il problema.
Io nel frattempo mi ero ripreso dai postumi dell’infarto e poiché io sono sempre stato incapace di oziare, abbandonai il collage per mancanza di materia prima e mi interessai di antiquariato invogliato dalla presenza in Bergamo e provincia di restauratori e antiquari. Frequentai i vari laboratori facendomi, con l’andare del tempo, una discreta cultura anche in questo ramo imparando a distinguere le varie epoche dei mobili antichi. Ebbi occasione di conoscere i titolari dell’ARTE DEL RESTAURO DI BRACCA i quali sopportarono la mia presenza di osservatore per tanto tempo e così imparai l’arte nel trattare mobili che ad un primo esame da inesperto mi sembravano troppo disastrati. Mi feci, rimanendo nel loro laboratorio una vera cultura. Imparai a sverniciare, lavare con acqua ossigenata, dare l’antitarlo, pulirlo dai residui, dare il mordente, la gommalacca e lucidare, alla fine, il pezzo con le cere adeguate.
Imparata l’arte non la misi da parte (come dice il proverbio), ma cominciai a guardare i miei mobili, sistemarli a dovere e intanto arrivarono i clienti : le figlie i parenti, gli amici e io avevo il mio tempo occupato.

VENTESIMA TESSERA. Il figlio Manuel nel susseguirsi degli anni finì il Liceo brillantemente. Fece domande a diverse Università e fu scelto alla Bocconi di Milano dove si laureò con 110 e lode in Economia Politica e Master in Marketing
all’Università di Manchester. Trovò lavoro ancor prima di finire le Università. Dopo aver girato mezzo mondo assunto da una multinazionale che gli ha dato via via l’opportunità di crescere e costruirsi un avvenire molto brillante ora si trova a YORK i n Inghilterra con sua moglie.
Il 4 Agosto dell’anno scorso si è sposato con Mariko, una giapponesina conosciuta in una delle sue numerose trasferte di lavoro in Giappone.

VENTUNNESIMA TESSERA. La mia anamnesi di paziente aggiornata e la seguente.
Ischemia celebrale nel 1990
Ernie inguinali bilaterali dal 1997 non operabili perchè troppo rischioso
Baselioma ala nasale sinistra nel 1998 ( operato all’I.E.O. con brachiterapia)
Scotoma arciforme in entrambi gli occhi dal 1999.
Baselioma frontale nel 1999( operato all’I.E.O. con radioterapia)
Fibrillazioni atriali rilevatesi croniche dopo 4 recidive con ricoveri nel 2000.
VENTIDUESIMA TESSERA. Nonostante tutto quanto menzionato ho continuato a contare gli anni e il padre, che piangeva camminando lungo la spiaggia domandandosi fino a quando avrebbe visto crescere suo figlio, adesso è arrivato a 77 anni e ha visto tutto quanto non pensava di vedere.
Io non so se quanto ho raccontato possa essere materia interessante. Ho voluto scrivere questo - Diario di una vita - per incoraggiare tutti gli ammalati, in particolar modo i cardiopatici che hanno paura quando devono sottoporsi ad interventi a cuore aperto. A me hanno messo una valvola meccanica, come già detto nel 1974. Allorché chiesi quanto poteva durare mi risposero ANCHE 20 ANNI. Io sono arrivato, se pur con tutte le difficoltà descritte a 32 dall’impianto e sono ancora vivo con le mie facoltà mentali non ancora assopite.

VENTITREESIMA TESSERA. Garantisco che date, fatti e luoghi sono tutti autentici e verificabili e aggiungo che la mia famiglia e soprattutto mia moglie Marcella che è stata fantastica nell’essermi vicina e seguirmi durante i periodi più duri.
Nel 2004 abbiamo festeggiato i 50 anni di matrimonio e io l’amo come il primo giorno che l’ho conosciuta.
Concludo: esternando definitivament quello che è sempre stato il mio pensiero in tutti questi anni trascorsi. La vita è meravigliosa e, anche se irta di mille ostacoli, vale la pena di viverla anche con sofferenza, con coraggio, con fede, con altruismo, passione ed amore.

P.S. un ringraziamento particolare lo devo al cardiologo Dott. D’ADDA degli Ospedali Riuniti di Bergamo che con abnegazione e professionalità si è dedicato alla mia persona, permettendomi di arrivare fino a qui.

martedì 26 dicembre 2006


Mi trovo comodamente seduto in poltrona in una più che tiepida giornata di mezzo autunno col mal di schiena che da tempo mi affligge, mentre stormi di uccelli volano bassi in cerca di rifugio e di cibo oscurando al loro passaggio il cielo. Davanti ai miei occhi ho il mare blu della costa azzurra, bellissimo e mi viene da confrontarlo col paesaggio di montagna. Ho, infatti, vissuto per parecchi anni a Serina in Valle Brembana. Dal mio terrazzo si scorgeva il monte Alben e proprio in questo periodo il mio sguardo vagava sui mille colori magici dell’autunno che lentamente stava morendo. La montagna è bellissima ma immobile. Ti alzi al mattino e vedi che l’imponente criniera frastagliata del monte, specialmente quando innevata è stupenda ma statica da millenni mentre il mare ogni giorno ti riserva una sorpresa. Un’ onda non è mai uguale a quella che segue, le increspature luccicano lontane e le barche a vela che lo solcano ti danno un senso di piacevole riposo agli occhi e di riflessione alla mente. Arrivato al traguardo della vita, qui davanti al magnifico azzurro nei suoi mille riflessi di colori penso intensamente al mio passato e quanto accadutomi spero possa essere di sprone a chi ha vissuto esperienze di vita particolari. È, quella che segue, la storia o meglio la cronistoria di un cittadino normale, forse un poco sfortunato in talune circostanze ma riconoscente a quanto la vita gli ha riservato visto che a settantasette anni si conserva discretamente come un fiore che lentamente appassisce.

Il primo di giugno del 2005 fui ricoverato d’urgenza agli Ospedali Riuniti di Bergamo in reparto di cardiochirurgia ed il primario, dopo qualche giorno diagnosticò un bronco-spasmo in soggetto con precedenti d’ infarto tanto da prospettare un trapianto impossibile a quella età. Così sentenziò: “Messo come sei, non hai futuro, tentiamo attraverso una coronografia di porvi rimedio con un’ angioplastica”, ma le coronarie erano l’unica cosa che funzionavano per cui non era possibile fare riparazioni. Rimasi nel reparto cardio-vascolare per tutto il mese curato con decine di pastiglie al giorno e con diuretici in vena per tutto il tempo della degenza. Alle dimissioni dall’ospedale mi sentii dire di continuare con la terapia assegnatami e…… fin che la va la va.
Ho pensato che se non vi fosse stato un futuro, come del resto la mia situazione e l’età imponevano, c’è stato però un passato da ricordare che con questo scritto cerco di raccontare.

Dividerò questa piccola storia in tanti episodi, che chiamerò tessere affinché i fatti accadutimi siano ben distinguibili fra loro e di più facile comprensione.

PRIMA TESSERA. Sono nato a Milano il 24-08-1929. L’infanzia e l’adolescenza sono state comuni a tanti che hanno vissuto il periodo della guerra. Vi era la famosa tessera annonaria per gli acquisti alimentari, la carne solo per i diabetici e la borsa nera. Noi ragazzi eravamo contenti quando, al suono della sirena d’allarme, tutti quanti ci trovavamo in cantina. Il capo casa, esisteva questa figura emblematica che incuteva rispetto e disciplina, controllava con intransigenza il comportamento degli inquilini. Noi si giocava a nascondino, a biglie, a figurine e ci si divertiva in quel piccolo vano senza pensare che se una bomba fosse caduta sopra il nostro stabile già fatiscente avremmo fatto la fine dei topi e per fortuna mia e di tutti i casigliani non andò così.

SECONDA TESSERA. I bombardamenti su Milano diventavano sempre più cruenti e la nostra cantina era diventata un inutile palliativo per cui, al lugubre suono dell’ avviso di pericolo, si correva per la strada e col cielo illuminato da razzi si raggiungevano i sotterranei della Stazione Centrale a noi vicina e ci si rifugiava colà. Mio padre, già sofferente di cuore prese la stoica decisione di sfollare, come pendolare, a Rho assieme a me che ero il più piccolo di tre figli.
Verso l’imbrunire da Corso Sempione prendevamo il tram che ci portava, ospite di un suo amico, in quel piccolo paese che lui riteneva una fortezza inespugnabile. Lì trascorrevamo la notte distesi, ma vestiti, in un letto di fortuna e al mattino ritornavamo con lo stesso mezzo in città.
Mia madre, dal canto suo lasciava fare e non condivideva quel modo di comportarsi, ma lei non aveva paura ne dei bombardamenti ne degli allarmi diurni o notturni e non andava neppure a rifugiarsi in cantina, lasciando che il destino decidesse per lei se vivere o morire. Mio padre continuò a fare il pendolare assieme a me per diverso tempo finché un giorno, appena tornato dal Bunker di Rho……, forse per lo stress di tutto quell’andare avanti e indietro si sentì male e morì di infarto alla finestra, accusando mia madre di non averlo avvisato che era suonata la sirena.
Nel frattempo i miei due fratelli furono chiamati sotto le armi. Uno dal 1944 dorme in un cimitero di guerra a Mezzano di Ravenna ucciso ad Alfonsine da una scheggia di granata tedesca, l’altro se la cavò perchè scelse di fare il vigile del fuoco. Assegnato a Roma, dopo l’armistizio ritornò a casa vestito da cameriere.

TERZA TESSERA. Arrivato a 17 anni e sopravissuto agli orrori della guerra, mia madre, vedova e con un figlio caduto in quel maledetto conflitto si trovò in condizioni economiche impossibili per cui mi disse che dovevo trovarmi un lavoro,
ma nel frattempo sorsero i primi problemi di salute per me. Mi ammalai di morbo di Basedow ossia ipertiroidismo. Dietro consiglio di un medico partii per Busto Arsizio e, all’ospedale di circolo fui il primo, o fra i primissimi, ad essere curato con gli isotopi radioattivi.
È ancora viva in me l’impressione che mi fece quello specialista il quale, attraverso un finestrino, lui con lo scafandro tutto in bianco e io dall’altra parte da dove gli vedevo solo gli occhi, mi allungava una pinza alla cui estremità vi era un bicchierino con del liquido che il dottore mi sollecitava a trangugiare. Dopo aver bevuto con molta perplessità questo nettare, mi depose su un lettino e con un lettore speciale vedeva quanto iodio aveva assorbito la mia tiroide. La cura andò avanti così per una settimana e alla fine fui dimesso….guarito, per cui potevo anzi dovevo, stante la necessità, trovarmi un lavoro.

QUARTA TESSERA. A quel tempo non esistevano i Master, gli stage e i colloqui, ma dovevi scrivere a mille nominativi che, pensavi potessero essere interessati a una tua possibile assunzione, ma la cosa veniva ignorata e soltanto dopo infinite domande, quando ormai avevo perso ogni speranza, mi rispose una azienda. Era una fonderia di metalli non ferrosi. Si chiamava Metallindustria con sede in Via Lario n. 13. Essa produceva, fondendo residuati o rottami metallici, lingotti per le industrie varie avvalendosi di forni rotativi e a crogiuolo. Quando si fondevano i rottami di alluminio si doveva immettere nel forno rotativo del sale ad evitare che i rottami bruciassero invece che fondere. Compito di avvelenare il sale era della Finanza per evitare che se ne facesse uso domestico. Il sale, a quel tempo, era un ingrediente intrvabile e io cercavo nel cumulo delle zone non inquinate dai veleni dei mucchietti intonsi da portare a casa per cucinare.
Fui assunto in prova per tre mesi come impiegato-operaio e sopra dei nastri trasportatori venivano caricati, mischiati, ogni genere di rottame. Il mio compito era di scegliere e dividere dai residuati di guerra, l’ottone, il rame, l’alluminio, il ferro, il bronzo e altro. Ogni pezzo era ghiacciato e soffrii molto a fare questo lavoro perché il 1947 fu un anno fra i più freddi che si ricordino.

QUINTA TASSERA. Dopo tre mesi di prova fui chiamato in Direzione e assunto definitivamente a lire 5000, mensili cifra inusitata a quel tempo e che mi avrebbe invogliato a dare il meglio di me stesso a sprone di un futuro brillante. Però, dovevo ottenere un diploma di steno-dattilografo, così frequentai la scuola e ne uscii promosso. Fui chiamato dopo qualche giorno nello studio del mio titolare il quale mi dettò una lettera tanto lunga da riempire due quaderni da steno-dattilo. Uscii frastornato da questa dettatura e pronto per scriverla a macchina, ma non fui capace di tradurre una sola parola di quanto avevo preso nota, era evidente che l’emozione mi aveva tradito e feci una figuraccia da impiegato fantozziano.
Migliorai con l’andar del tempo questo incarico di scrivere a macchina sotto dettatura finchè qualche anima pia inventò il dictaphono. Era questo uno strumento che registrava su nastro quando il capo ufficio dettava e poi, quello che doveva battere a macchina ritirava il rullino, lo inseriva nel suo strumento ricevente e, cuffia nelle orecchie, trascriveva quanto quell’altro aveva dettato. Diventai così rapidissimo a battere a macchina e per anni questa fu la mia mansione.

SESTA TESSERA. Nel 1954 mi sposai con una bella ragazza conosciuta pochi anni prima in montagna. Il padre era un imprenditore agrario che molti anni prima aveva vinto una gara d’appalto del demanio forestale di una zona paludosa tra il mare di Pila e la foce del Po, l’aveva bonificata trasformandola in un immenso giardino di riso. Per le sue capacità, la sua abnegazione nel lavoro e la sua generosità verso gli altri fu insignito dell’onorificenza di CAVALIERE DELLA REPUBBLICA. Oltre alla produzione di riso esportava in Ungheria le canne palustri per fare scope. Nei canali delle risaie allevava pesci. Oltre 50 famiglie erano alle sue dipendenze e tutto andò bene fino al novembre del 1951 quando le acque del Po prima e quelle del mare poi, nel 1956, sommersero ogni cosa.
Subì tanti e tali disastri che piangeva il cuore vedere le capanne dei coloni, gli impianti di essiccazione del riso, le barche, la casa colonica e quant’altro c’era di bello e di utile andare inesorabilmente sommerso dal mare.

SETTIMA TESSERA. La mia carriera, se pur lentamente, proseguiva. Fui destinato a farmi una clientela esterna alla quale vendere i nostri prodotti ed ero molto capace a combattere la concorrenza e piazzare la nostra merce ovunque per cui viaggiai molto anche per risolvere problemi tecnici.
Lo stipendio aumentava e con esso anche il premio di produzione. Avevo acquisito le mie ferie annuali, erano nate dal matrimonio due bambine e con tutta la famiglia in estate, confortato dalle mie esperienze di viaggi per lavoro andavo a visitare le città che più avevano suscitato in me un certo interesse artistico.
Durante uno di questi viaggi si visitò la splendida Viterbo ove sostammo per la notte in un tetro Hotel saturo di pareti rivestite di stoffa rossa, corrimani di funi a balze con fiocchi dorati. Nel cuore della notte venni svegliato dalla Direzione dell’albergo e fui invitato a scendere nella reception dove trovai i carabinieri che erano venuti a cercarmi.
Con terrore scesi le tetre scale e scorsi una pattuglia dell’arma il cui Maresciallo dichiarò che ero ricercato per detenzione di droga e quindi mi trascinarono in caserma. Alle mie dichiarazioni di innocenza si fecero approfondite indagini e si chiari che il ricercato era un certo Rossi che abitava nella mia stessa città e pure nella mia via e con la mia stessa data di nascita.
Il giorno dopo ricuperai la mia famiglia e da quel momento decidemmo che le ferie le avremmo trascorse sempre all’estero come poi avvenne.

OTTAVA TESSERA. Ormai la mia carriera proseguiva brillantemente. Lasciai ad altri il compito di seguire la clientela esterna che già si era acquisito e mi si affidarono le relazioni con la clientela ma all’interno dell’azienda.
Ora avevo un ufficio tutto per me, con segretaria personale alla quale dettavo la
corrispondenza che firmavo. E così andò avanti per tanti anni.

NONA TESSERA. Nel 1973 fui, per un malore improvviso, ricoverato all’ospedale di Rho. Mi fu diagnosticato un edema polmonare in stato di riposo, dovuto ad insufficienza cardiaca per cui, dopo un mese di degenza mi dissero che dovevo essere operato a cuore aperto per sostituire la valvola aortica. L’attesa, a quell’epoca all’ospedale maggiore di Milano, dove ero stato indirizzato era di un anno mentre io avevo un mese di vita.
Dovetti quindi operarmi privatamente e mi rivolsi alla mia ditta chiedendo un prestito che ottenni, facendomelo pesare non poco, con l’accordo che lo avrei restituito a fine rapporto lavoro. Oggi è un diritto acquisito dai lavoratori farsi dare, in caso di necessità un prestito in conto liquidazione.
Nel febbraio del 1974 mi recai presso la clinica di Genolier in Svizzera e mi affidai all’equipe del Prof. Hann. Dopo 15 giorni mi mandarono a casa raccomandandomi di fare un mese di convalescenza possibilmente in Liguria per poi riprendere il lavoro senza alcun indugio non senza ricordarmi di assumere giornalmente il Sintrom, un anticoagulante che permette alla valvola meccanica STAR che avevo nel cuore a pompare regolarmente.
Pericolosi però questi anti-coagulanti, si è considerati malati ad alto rischio perchè è possibile incorrere in emorragie, trombi o ictus se il dosaggio non è controllato da un centro di ematologia per il controllo degli INR.
Allora questi centri specializzati non esistevano e si andava in un laboratorio di analisi che faceva il prelievo, dava l’esito in giornata e mia moglie provvedeva, con molti problemi, a farmi la terapia.

DECIMA TESSERA. Mia moglie, che amorevolmente mi seguiva nel mio percorso post-operatorio, si accorse di ingrassare. Le proposi di effettuare un test di gravidanza. Aveva ormai due figlie di 19 e 17 anni e lei ne aveva 46. Fu un dramma quando il test risultò positivo. Ella era incinta di 3 mesi e pianse per tutto il tempo della gravidanza mentre le figlie erano contente anzi, entusiaste, ma esigevano un maschio e maschio nacque per la gioia di tutta la famiglia il cui padre si chiedeva fin quando avrebbe potuto partecipare alla sua crescita.

UNDICESIMA TESSERA. Nel 1975 fui ricoverato in fin di vita per un’emorragia perivescicale dovuta all’uso degli anticoagulanti, pur se i valori di protrombina venivano controllati da laboratori qualificati. Ci rimasi un mese durante il quale fui politrasfuso per ben 3 volte e a seguito di queste trasfusioni fui contagiato dall’HCV
perchè a quel tempo il sangue del donatore non veniva controllato.
Ripresi il lavoro anche se avevo ormai soventi piccole o vistose emorragie quali ematuria, epistassi e sanguinamento gengivale.

DODICESIMA TESSERA. In un periodo di convalescenza, dopo gli episodi ospedalieri mi trovavo a Bonassola e un cardiologo di La Spezia che mi visitò mi disse che ormai la valvola che avevo da anni nel cuore era ormai parte integrante del mio corpo e potevo sostituire l’anticoagulante che mi procurava tanti disturbi con gli anti aggreganti come il Persantin e il Cemerit. Prima, però, era doveroso sentire il parere di chi mi aveva operato per cui scrissi sia alla clinica Svizzera che al dottore che mi aveva seguito in modo assiduo durante la mia degenza e che ora è primario cardiochirurgo a Catania. Entrambi gli interpellati diedero parere favorevole. Possiedo tuttora le lettere originali di assenso.
Fu un grande FLOP. Anche i luminari sbagliano e me ne resi conto quando nel 1987 fui colpito da un grosso infarto. All’ospedale Gavazzeni di Bergamo dove fui ricoverato il primario Prof. Baldrighi mi diede anche del fesso perchè quell’infarto me lo ero andato a cercare con la sospensione dell’anticoagulante. Una valvola meccanica funzione esclusivamente con questa terapia e nessuna altra può sostituirla.
Dopo avere superato anche questo ostacolo, tornai a lavorare.

TREDICESIMA TESSERA.
Il lavoro, nonostante le difficoltà della salute mi dava ampie soddisfazioni professionali ed economiche. Ero dirigente nel settore vendite, dettavo e firmavo la corrispondenza ma un brutto giorno, un venerdì quando nella cassaforte erano custodite le paghe degli operai la ditta fu assalita da un gruppo di rapinatori che prima insultarono e picchiarono quelli che capitavano a tiro e poi spararono all’impazzata per aprirsi un varco e fuggire pur senza malloppo.
Io mi salvai gettandomi a terra mentre le pallottole fischiavano sopra la mia testa.
A questo punto essendomi salvato più volte per il rotto della cuffia, a salvaguardia della salute, avendo ancora una famiglia da cautelare decisi di presentare le mie dimissioni dopo 29 anni di onesto lavoro.

Mi presentai così al mio datore di lavoro affermando che le vicissitudini della vita mi avevano convinto a dare le dimissioni non essendo più in grado di produrre al meglio come quando stavo bene e gli ultimi episodi verificatisi avvalorarono la mia decisione. Così nel 1976, a 47 anni mi trovai a casa con una pensione di invalidità in base al numero degli anni che avevo lavorato, con due ragazze che ancora studiavano e un piccolo da crescere che allora aveva 6 mesi.

QUATTORDICESIMA TESSERA. Decisi, assieme a mia moglie che mi ha sempre esaudito nei miei desideri, di trasferirmi col bimbo in arie più pulite e confacenti al mio stato di salute. Del resto ormai le ragazze erano autonome e potevano gestire la loro vita senza problemi anzi erano contente di questa nostra scelta.
Acquistammo una porzione di villetta quadri-familiare con 300 metri di giardino ai Lidi Comacchiesi. Qui il mio tempo lo dedicavo al giardinaggio facevo lunghe passeggiate sulla spiaggia col bambino e mi interessavo di etruscologia leggendo molti libri sulla storia locale. Frequentavo chi era addetto alla campagna scavi della Necropoli Etrusca di SPINA in Valle Trebba ed un giorno, recandomi per controlli medici all’ospedale S.Anna di Ferrara ebbi occasione di visitare una mostra al Palazzo dei Diamanti dove esponeva le sue opere originalissime il pittore BAJ e la visione dei suoi quadri mi colpì molto.

QUINDICESIMA TESSERA. Con Manuel che cresceva, paffutello e sano, come già detto mi recavo sulla spiaggia tutti i giorni e per interessarlo a camminare, come dovevo fare io, raccoglievamo, specialmente dopo le mareggiate invernali ogni sorta di conchiglie assieme ai più svariati oggetti che il mare depositava e che suscitavano in noi qualche interesse, poi, a casa le conchiglie venivano lavate, divise, i legni e gli oggetti che davano un senso di forma messi da parte e catalogati e via via il tempo passava e Manuel diventava grandicello. Io di nascosto, ogni tanto venivo colto da grandi malinconie con frequenti crisi di pianto perchè ero un ammalato che si domandava sino a quando avrebbe vissuto questa vita anomala dopo aver tanto lavorato.

SEDICESIMA TESSERA. L’incontro con Baj mi ispirò e pensai che, con tutte le conchiglie che con Manuel avevo raccolto sulla spiaggia, un quadro come i suoi ero capace di farlo anch’io e mi attivai i questa iniziativa.
Adoperavo passamanerie, conchiglie, pigne cadute dai pini, plastiche, e ogni sorta di oggettistica naturale compresi copri-water, vetri rotti, stracci, corde e il mio lavoro hobbistico trovò interesse anche presso conoscitori di questa forma d’arte chiamata collage. Ebbi critiche favorevoli dai giornali locali e dal Resto del Carlino:

VEDI-COME IL MARE CI AIUTA A CREARE
Al Lido degli Scacchi, esattamente nei pressi della Fattoria, vive in assoluta pace e tranquillità un personaggio insolito, fantasioso ed al tempo stesso geniale. Si chiama ENRICO BOSSI, milanese, uomo di mezza età, ospite dei nostri Lidi Comacchiesi da circa un anno, attualmente pensionato.
BOSSI ha trovato nell’habitat e nel clima dei nostri Lidi la serenità e la salute, improvvisandosi subito indefesso podista e marciatore. Ed è appunto attraverso le sue molteplici camminate e marcialonghe solitarie in riva al mare, soprattutto durante la stagione invernale, che l’amico meneghino è riuscito a creare dal nulla singolari ed espressivi esemplari, modellati dallo stesso mare e creati dalla fantasia dell’artista.
BOSSI cerca, modifica e scolpisce forme davvero interessanti ricavate dal legno che durante le mareggiate il mare riversa sulla spiaggia. Recentemente il nostro amico che ama intensamente Comacchio ed i suoi Lidi e che si interessa fra l’altro di storia locale, ha proiettato i suoi interessi verso un’altra forma originale di arte:
- IL COLLAGE - Egli, raccogliendo pazientemente innumerevoli specie di relitti marini, è riuscito in modo encomiabile a creare tanti collages dalle forme e dai significati più vari con materiale veramente strano. Ecco, forse nessuno immaginerà quale forza creativa possa avere il mare, eppure il nostro buon amico è riuscito a sfruttare questa forza, a riconoscerla, addirittura ad immedesimarsi dando un volto ed una identità a ciascuno di quei relitti.
Le creature geniali di ENRICO BOSSI saranno esposte nei prossimi giorni presso il Palazzo Bellini della città di Comacchio. FIRMATO –CRITICO BOCCACCINI

Feci varie mostre come quella alla Galleria Alba di Ferrara e durante una di queste venne a complimentarsi il Maestro Remo Brindisi. Vinsi premi a Milano, a Varese, a Crescentino. Vendei e permutai opere e vissi quel lungo periodo con ritrovata serenità.

DICIASSETTESIMA TESSERA. I mesi invernali erano però i più duri da trascorrere in loco per la costante presenza di nebbie fitte e di forte umidità. Giunse il momento di iscrivere Manuel alla scuola elementare e si scelse quella di S.Giuseppe di Comacchio, mentre da parte mia ero occupato ormai in pianta stabile con il collage e col gruppo archeologico di Spina. A scuola arrivò il momento delle vacanze invernali e la settimana bianca. Avevamo acquistato a suo tempo, poco prima che mi ammalassi, una piccola mansarda in montagna, in Valle Brembana, precisamente a Serina, alloggio che non era mai stato abitato se non per brevi periodi dalle figlie. Qui decidemmo di trascorrere la settimana bianca e l’impatto con l’aria fredda ma secca, il candore delle montagne fra cui svettava di fronte a noi l’imponente massiccio dell’Alben innevato ci convinsero di far terminare la prima elementare ai Lidi per poi trasferirci nella nuova località di montagna.

DICIOTTESIMA TESSERA. La decisione del trasferimento fu cosa buona, Manuel frequentò tutte le elementari e le medie inserendosi col suo gruppo scolastico ottimamente, imparò a sciare, le nostre figlie venivano più volentieri a trovarci perchè più vicine alla città di residenza e la vita continuò così per anni.
Al momento di iscriverlo alle Superiori fummo consigliati dai suoi professori di andare a Bergamo perchè il ragazzo rendeva molto bene ed era un peccato non scegliere una scuola più consona alle sue capacità.
Lo iscrivemmo all’Istituto Lussana di Bergamo e per un anno fece il pendolare con disagi per lui e per noi finché decidemmo di acquistare la casa vicino alla scuola e all’Ospedale così entrambi avevamo risolto il problema.
Io nel frattempo mi ero ripreso dai postumi infartuali e poiché sono sempre stato incapace di oziare, abbandonai il collage per mancanza di materia prima e mi interessai di antiquariato, invogliato dalla presenza in Bergamo e provincia di restauratori e antiquari. Frequentai i vari laboratori facendomi, con l’andare del tempo, una discreta cultura anche in questo ramo imparando a distinguere le varie epoche dei mobili antichi.

DICIANNOVESIMA TESSERA. Il figlio Manuel nel susseguirsi degli anni finì il Liceo brillantemente. Fece domande a diverse Università e fu scelto alla Bocconi di Milano dove si laureò con 110 e lode in Economia Politica e Master in Marketing
all’Università di Manchester. Trovò lavoro ancor prima di finire le Università. Dopo aver girato mezzo mondo assunto da una multinazionale che gli ha dato via via l’opportunità di crescere e costruirsi un avvenire molto brillante ora si trova a YORK i n Inghilterra con sua moglie.
Il 4 Agosto dell’anno scorso si è sposato con Mariko, una giapponesina conosciuta in una delle sue numerose trasferte di lavoro in Giappone.

VENTESIMA TESSERA. La mia anamnesi di paziente aggiornata e la seguente.
Ischemia celebrale nel 1990
Ernie inguinali bilaterali dal 1997 non operabili perchè troppo a rischio
Baselioma ala nasale sinistra nel 1998 operato all’I.E.O. con brachiterapia
Scotoma arciforme in entrambi gli occhi dal 1999.
Baselioma frontale nel 1999,operato all’I.E.O. con radioterapia
Fibrillazioni atriali rilevatesi croniche dopo 4 recidive con ricoveri nel 2000

VENTUNESIMA TESSERA. Nonostante tutto quanto menzionato gli anni ho continuato a contarli e il padre, che piangeva camminando lungo la spiaggia domandandosi fino a quando avrebbe visto crescere suo figlio, adesso è arrivato a 77 anni e ha visto tutto quanto non pensava di vedere.
Io non so se quanto ho raccontato possa essere materia di interesse. Ho voluto scrivere questo - Diario di una vita - per incoraggiare tutti gli ammalati, in particolar modo i cardiopatici che hanno paura quando debbono sottoporsi a interventi a cuore aperto. A me hanno messo una valvola meccanica, come già detto nel 1974. Quando chiesi quanto poteva durare mi risposero ANCHE 20 ANNI. Io sono arrivato, se pur con tutte le difficoltà descritte a 32 dall’impianto e mi trovo ancora vivo con le mie facoltà mentali non ancora assopite.

VENTIDUESIMA TESSERA. Garantisco che date, fatti e luoghi sono tutti autentici e verificabili e aggiungo che la mia famiglia e soprattutto mia moglie Marcella è stata fantastica nell’essermi vicina e seguirmi durante i periodi più duri.
Nel 2004 abbiamo festeggiato i 50 anni di matrimonio e io l’amo come il primo giorno che l’ho conosciuta.
Concludo definitivamente esternando quello che è sempre stato il mio pensiero in tutti questi anni trascorsi. La vita è meravigliosa e, anche se irta di mille ostacoli, vale la pena di viverla anche con sofferenza, con coraggio, con fede, con altruismo, passione ed amore.

P.S. un ringraziamento particolare lo debbo al cardiologo Dott. D’ADDA degli Ospedali Riuniti di Bergamo che con abnegazione e professionalità si è dedicato alla mia persona, permettendomi di arrivare fino a qui.